Monza, 25 febbraio 2025
Cosa accomuna la lettura, la scrittura e il mestiere di psicoterapeuta? In ciascuno di essi si intrecciano la cura, la relazione e la passione, ci spiega Silvia Rivolta nella sua intervista presso il CD Stellapolare di Monza.
La lettura ha sempre accompagnato la vita di Silvia, “Sostiene Pereira” di A. Tabucchi e “Pastorale americana” di P. Roth sono stati due libri che hanno lasciato un segno in lei, ci racconta. Ha scritto molto durante la sua formazione, si è occupata di recensire libri, ha scritto racconti e, infine, durante il lockdown ha iniziato a comporre i suoi libri: “Luce dalle crepe” e “Vite attese”.
Spesso si legge per diletto, ma non è raro, a conclusione di un buon libro, sentirsi un po’ cambiati. La lettura è come un viaggio che può portarci a superare certe resistenze e a dar vita ad una trasformazione, soprattutto per chi è pronto a lasciarsi coinvolgere, aperto all’idea che le tematiche dello scritto un po’ potrebbero riguardare anche lui.
Silvia ha proprio questo desiderio: far sì che i suoi libri, tramite la condivisione delle riflessioni che lei stessa fa e del suo percorso di crescita, possano costituire una fonte di cambiamento evolutivo per i lettori. Ha scelto perciò di occuparsi di narrativa più che di saggistica, per rendere i suoi libri accessibili potenzialmente a tutti, anche alle persone che ancora non hanno incontrato una dimensione terapeutica.
La trasformazione è possibile grazie ai diversi “messaggi di cura”, come li definisce la scrittrice, nascosti tra le pagine. Cura è intesa non nel significato medico, quanto più in quello di prendersi cura, di sé e delle relazioni che ci circondano. Ciascuno di noi fa parte di una famiglia e ciascuna famiglia possiede una storia.
L’essere figli accomuna tutto il genere umano; poter riconoscere questo ruolo, accanto a tutti gli altri che la vita ci riserba, a sé stessi ma anche ai propri genitori, può essere decisivo. È un aspetto che dovrebbe essere un po’ più condiviso.
Il libro “Vite attese”, ci confessa Silvia, nasce proprio in una chiave relazionale e di cura: nella vita ci si può ritrovare immersi in rapporti un po’ soffocanti, spesso non riconosciuti o che non si sa bene come gestire. È importante avere qualcuno che ci aiuti a prendere la giusta distanza. È un po’ come l’edera, ci racconta, che se lasciata incolta avviluppa il platano e lo soffoca; così la troppa vicinanza relazionale rischia di opprimere.
Serve dunque una figura che poti l’edera nel punto giusto. Nel romanzo è Beppe il personaggio maschile trasformativo, centrale per l’evoluzione sia della paziente che della terapeuta.
L’arricchimento tratto dalla lettura e dalla scrittura non si riduce al contenuto dei “messaggi di cura”, ma si
sviluppa anche attorno alla complessa interazione tra scrittore, lettore e romanzo. Ad esempio, l’identificazione con un passaggio narrativo o con un particolare personaggio del racconto può essere lo spunto per scoprire nuovi lati di sé.
Allo stesso modo, Silvia ci racconta di come, a fronte di commenti sui suoi scritti da parte dei lettori, riesca a cogliere interpretazioni nuove, a cui lei non aveva ancora pensato; così come accade anche nelle relazioni, spesso nell’incontro con l’altro emergono parti di noi fino a quel momento nascoste.
“Il mio lavoro è un costante incontro di storie, l’incontro è sempre su una sofferenza e da ogni incontro ne esci che cresci anche tu, con qualcosa che ti fa riflettere sul tuo percorso e sul tuo momento di vita” afferma. Emerge così anche l’inevitabile legame tra la professione di psicoterapeuta e la scrittura di Silvia: nei gruppi multifamiliari sono molti i vissuti che raccontano di un passato che fa da macigno e della difficoltà di elaborare il dolore connesso ad esso; ”Vite attese”, in parallelo, ci trasmette il messaggio che per vivere è necessario liberarsi dei pesi che portiamo con fatica e che spesso ci hanno trasmesso.
Sul finire dell’intervista spicca un altro tema suggestivo: la responsabilità di curarsi delle proprie passioni, grandi alleate nella cura di sé. Può essere complicato ritagliarsi, nel bel mezzo di un momento di difficoltà, del tempo da dedicare a ciò che ci piace, ma proprio le passioni ci permetteranno di farci strada in una vita costellata da impegni, doveri e dolori, adottando uno spirito diverso. Nell’esperienza di Silvia “anche un solo quarto d’ora mi permette di sentire che sto facendo una cosa che mi piace e che mi fa sentire viva e mi permette anche di più di affrontare le fatiche e gli impegni che poi mi aspettano”. Tra le altre, la scrittura è una passione che consente anche di uscire un po’ dai propri panni, si può scegliere ad esempio con quale personaggio identificarsi, dar vita ai propri sogni, vivere esperienze e relazioni così come le si sarebbero desiderate… in altre parole, ci da la possibilità di far convergere allo stesso tempo l’espressione di se stessi, e il distanziamento da se stessi.
Un po’ come la vita, per renderla autentica, la scrittura richiede di essere presenti e anche di divertirsi. Ci può aiutare, inoltre, a fare i conti col giudizio altrui: quanto più ci si sente svincolati dell’idea che gli altri leggeranno una nostra composizione, tanto più saremo liberi di esprimerci.
Infine, Silvia Rivolta da un consiglio a chi volesse prendersi cura di questa passione: innanzitutto scrivere tanto e leggere tanto. In aggiunta, preservare la piacevolezza dello scrivere e costruire pian piano il significato personale che si desidera attribuire alla propria scrittura.